"Don’t forget us" Kenya
“Don’t forget us” (non dimenticateci), mi dice la bimba dai grandi occhi, seduta su una vecchia panca colorata di azzurro intenso e brillante come le sue trecce, in una bellissima classe senza banchi e senza lavagna. Siamo in uno dei più grandi slum del Kenya, a Nakuru. A qualche decine di metri da qui c’è la Chiesa Cristiana Victoria, un centro che raccoglie letteralmente dai bordi delle vie queste piccole anime innocenti, secondo le parole del loro angelo custode “il Pastore” (non ricordo più il nome), a capo della struttura. Lui li va a stanare, li convince, parla con le famiglie, e inizia un lungo percorso che li aiuta a crescere, a cambiare mentalità e sguardo sul mondo. Non è solo “il Pastore” con lui ci sono due italiani, Mascia e suo marito Riccardo che assomiglia a Dave Gilmour. Persone di poche parole e molti fatti che danno a questi bambini non solo un piatto di riso e lenticchie (e questo già sarebbe tanto) ma una chance per vedere un po’ di luce, abbandonare la strada, i giorni piovosi sotto le tettoie, il fango, i furti, l’accattonaggio e tutti gli espedienti della vita già troppo difficile per loro.
Un paese strano, il Kenya, indecifrabile come gran parte dell’Africa. Bisogna spogliarsi delle categorie di pensiero abituali ed essere pronti alla sorpresa. La sorpresa di entrare in Chiesa, baracca coloratissima, e sentire musica a volume assordante mentre gli avventori ballano, poi sedersi e stavolta trovare un predicatore che spiega passi del Vangelo in italiano.
Ogni modo, le ho schiacciato l’occhio e le ho detto “I can't forget you, one day I back, sure!” (non posso dimenticarvi, un giorno torno, sicuro).
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